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Credo nelle idee che diventano azioni

venerdì 13 novembre 2009

Logos e simbolo. In margine alla scomparsa di Lévi-Strauss

A mio avviso, la migliore e più pregnante definizione della 'tradizione ' si trova nel saggio del filosofo cristiano (forse un ossimoro, ma se così fosse, sarebbe certo un ossimoro 'fecondo') Luigi Pareyson,' Verità e Interpretazione'. Secondo Pareyson, la 'tradizione' consiste nell'indicare una determinata maniera di realizzare la verità, che in quanto espressa nel medium spirituale del linguaggio non può non essere, ad un tempo, una e molteplice.
L'esempio che si fa, di solito, è quello di un' interpretazione di un'opera d'arte, come la 'nona' di Beethoven: varia a seconda dell'interprete, pur essendo sempre la nona di Beethoven, e non mancano i criteri, che possono essere ricavati dall'opera stessa, per giudicare le diverse interpretazioni. Non nel senso che vi sia un'interpretazione superiore alle altre, ma perché si può, almeno in linea di principio, capire quali sono i tratti comuni che le differenti interpretazioni debbono avere per poter essere ciascuna interpretazione di una determinata opera e non di un'altra. In Pareyson però manca, tranne un generico rimando alla funzione della filosofia, la formulazione esplicita di quale sia questo 'nucleo semantico' comune, cioè quel che deve caratterizzare una certa espressione come ri-velazione, sia pure non definitiva né esaustiva, della verità.
Tuttavia, se il divario tra l'esplicito e l'implicito, il detto ed il non detto, è il 'segno' stesso dell'inesauribilità che contraddistingue la verità, allora pare evidente che è la ' presenza 'del simbolo - inteso come cifra esistenziale, ontologica e metafisica, mai completamente decifrabile e suscettibile di nuove ed imprevedibili interpretazioni - che 'testimonia il nostro essere nella verità'. Per quanto vi siano casi in cui è difficile stabilire se un segno sia o no un simbolo, è innegabile che ve ne sono innumerevoli, come dimostra, in particolare, la scienza del mito e delle religioni, in cui non possiamo non impiegare questo termine per capire che ci si trova in presenza non di semplici figure del linguaggio, ma di figure del linguaggio e del pensiero, non 'traducibili', se non parzialmente,in concetti.
Un filosofo tedesco, Werner Beierwaltes, usa a tale riguardo, l'espressione 'metafora assoluta'. Si tratta di un sintagma, che egli impiega non tanto per spiegare 'contenuti e significati religiosi', quanto piuttosto per delucidare la struttura argomentativa del neoplatonismo, che nella riflessione sull'Assoluto, ricorre a complesse 'immagini metaforiche'che articolano e orientano l'argomentazione. E' possibile così delineare un 'discorso filosofico', quello che riguarda i principi ultimi della realtà, in cui il concetto e il simbolo, pur differenziandosi l'uno dal'altro, non sono irrelati o separati, bensì appunto distinti.
Non pare, di conseguenza, arbitrario o anacronistico ritenere che la filosofia dovrebbe configurarsi come l'espressione e la rivelazione di questo distinguersi del concetto da quel mondo dei simboli, da cui s'inizia il pensiero cosiddetto discorsivo e a cui il pensiero deve tornare per trovare conferma del proprio' movimento nel concetto' e per trarre l' impulso necessario per ampliare ulteriormente la sfera concettuale, secondo la direzione indicata dalla ricezione, storico-ermeneutica e teoretica, dei simboli stessi.
Del resto, per lungo tempo, anche se è vero che la filosofia occidentale si originò dalla separazione del logos dal mito e nonostante i reiterati tentativi di espellere definitivamente il simbolo dall'ambito del razionale per confinarlo nei bassifondi dell'anima, ci si è dovuti perlomeno confrontare con questo problema . Solo in epoca moderna, si è riusciti ad attuare (in larga misura, ma non completamente, a causa dei noti paradossi che concernono i fondamenti della logica matematica e della differenza tra la forma logica non' formalizzabile' del linguaggio naturale - tanto che J.Seifert la denomina 'logica materiale' - e quella di qualsiasi linguaggio artificiale) il programma di costruire una 'razionalità esatta', ma ciò inevitabilmente ha coinciso con la 'liquidazione' della filosofia e con la sua sostituzione con quella che Heidegger denomina la 'logistica'; oppure,ma ad un livello scientifico assai più basso, con la riduzione (è l'idea di fondo dello strutturalismo) della struttura del simbolo e di ogni linguaggio ad un'algebra dei 'segni', indifferente ad ogni questione di senso; a cui non poteva non seguire la de-costruzione (Derrrida e c.) di ogni idea di 'fondazione' e di ogni struttura o sistema.
Che lo strutturalismo sia stato 'de-costruito'sulla base delle sue stesse premesse e che la logistica si trovi nell'imbarazzante situazione di doversi giustificare rimandando all'utilità dei pro-dotti della tecno-scienza, mostra ancora una volta l'impossibilità di sbarazzarsi del 'fango semantico', della questione del 'senso', senza annientare l'uomo e la Terra in cui l'uomo dimora.
Cionondimeno, è inevitabile porsi la domanda se la filosofia possa ancora, ripercorrendo il proprio cammino a partire dai Greci, ritrovare le tracce di ciò che ha dovuto rimuovere e dimenticare, per essere fedele alla propria destinazione storica e che invece oggi dovrebbe recuperare per com-prendere il significato della propria crisi e che cosa da tale 'oblio' ne sia derivato, non solo per la filosofia, ma per l'uomo e per la Terra. Ma a questa domanda potrà rispondere solo il 'pensiero dell'uomo', nel doppio senso del genitivo, cioè in quanto pensiero che l'uomo pensa e in quanto pensiero che lascia apparire l'essenza dell'uomo, posto che l'uomo sia ancora in grado di corrispondere all'appello che il logos gli rivolge, sia pure nella forma sempre cangiante e plurale del linguaggio e della 'tradizione'.

Fabio Falchi

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