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Credo nelle idee che diventano azioni

martedì 7 luglio 2009

BENE COMUNE E RAGIONE MERCANTILE

Progressisti e liberisti sono soliti obiettare, a coloro che criticano la società di mercato e che ritengono che senza un’idea di bene comune, condivisa dai membri di una comunità, il legame sociale non possa non deteriorarsi, che il bene comune è una nozione troppo vaga, che denota più uno stato d'animo, che qualcosa di veramente rilevante sotto il profilo politico.

Si tratta tuttavia di un'obiezione che si può respingere con relativa facilità, se si conoscono le opere di un grande economista e storico dell'economia: Karl Polanyi (1).

Avvalendosi di una sofisticata metodologia multidisciplinare e della collaborazione di alcuni tra i massimi studiosi del mondo antico, Polanyi riesce a provare che la comunità "pre-moderna" era caratterizzata da un'economia "embedded", ossia incastonata in una struttura istituzionale assai complessa e articolata. Ciò era possibile anche per il fatto che lo scambio delle merci era un'attività economica che presupponeva la reciprocità (ad esempio, se un contadino si faceva male, gli altri contadini svolgevano anche il suo lavoro, dato che ciascuno di essi sapeva che se non avesse potuto fare il proprio lavoro, gli altri in virtù di un'obbligazione reciproca lo avrebbero fatto per lui) e la redistribuzione della ricchezza.

Soltanto con la Rivoluzione tecnico-scientifica prima e industriale poi, lo scambio delle merci diventa predominante a tal punto da poter progressivamente orientare tutte le attività economiche, sociali e culturali, mediante la formazione di un'Alta finanza che rende possibile un processo di espansione "esterna" (l'imperialismo) e "interna" (colonizzazione dei mondi vitali e ristrutturazione della rappresentazione sociale del tempo e dello spazio in funzione di un’ideologia mercantile).

Viene così a predominare, prima in Europa e in seguito in ogni parte del mondo, la forma mentis del mercante, dell'homo oeconomicus, che mercifica la Natura, il Lavoro e la Moneta; ovvero, secondo lo studioso di origine ungherese, si attua una radicale trasformazione della Terra e dell'Uomo, che corrode la base stessa del vivere comune, in quanto né la Natura (dato che è l'ambiente grazie al quale gli uomini vivono), né il Lavoro (dato che è una "merce" che pensa, vuole e sente) né la Moneta (dato che esprime le relazioni di scambio delle merci, secondo una logica che è di necessità anche di carattere sociale e politico) sono "merci".

Il fatto che Natura, Lavoro e Moneta si possano considerare "mere merci", occulta ma non cancella la loro struttura ontologica differente, il che spiega non solo le crisi ricorrenti della società capitalistica, ma anche e soprattutto lo spezzarsi di ogni legame sociale e la contrazione sia della sfera personale sia della sfera pubblica a vantaggio di un mercato ipertrofico, che comporta il totale controllo delle relazioni sociali ad opera di tecnostrutture private (anche quelle cosiddette pubbliche sempre più operano come fossero soggetti privati, vuoi perché sono strumenti di determinati gruppi di interesse, vuoi perché si regolano e sono organizzate in base a schemi che dipendono dal mercato) ossia di oligarchie tecno-plutocratiche transnazionali.

Le conseguenze di questa "Grande Trasformazione" vengono quindi più mascherate che spiegate se s’impiega il termine, apparentemente neutro ma che in realtà connota una ben precisa ideologia, "modernizzazione" per giustificare l'annientamento delle nostre "identità differenziate" e la spoliticizzazione della sfera pubblica.

Si comprende allora che cosa significa "bene comune": Natura, Moneta e Lavoro, infatti, designano un sistema di relazioni tra individui differenziati, che si fonda su molteplici forme di sapere non riducibili ad astratti modelli logico-matematici, utili certo a potenziare l'agire strumentale ma del tutto inadeguati a strutturare e comprendere l'agire comunicativo.

Ancor più degno di nota è che Polanyi, che pure era un socialista fabiano e perciò non aveva pregiudizi per quanto concerne una visione "progressista" della storia, dimostri che la comunità antica (la Gemeinschaft), contrariamente a quanto viene affermato da chi si ostina ancora a fare l'apologia del "mito" del progresso, non era affatto statica o immobile, bensì era stabile, vale a dire che il mutamento "scorreva" in altri canali istituzionali rispetto all'attuale società di mercato (la Gesellschaft): arte, politica, religione erano, ad esempio, mondi vitali estremamente ricchi e variegati, in grado di articolare una realtà multidimensionale di cui l'aspetto economico e, più in generale, tecnico-produttivo rappresentava soltanto una dimensione e nemmeno la più importante.

Si può dunque ritenere che il tentativo di ridefinire il Politico mediante criteri anti-economicistici e anti-individualistici (e che si tratti con ogni probabilità di un tentativo che difficilmente può incidere sull'attuale realtà socio-politica, lo si può ammettere, sebbene questo non escluda che possa almeno favorire o rafforzare l’orientamento intellettuale ed esistenziale di chi non è disposto a subire passivamente la globalizzazione) lungi dall'essere una difesa di una concezione totalitaristica del mondo, nasce dalla consapevolezza storica, teorica e, oserei dire, anche antropologica - tenendo conto dell'impoverimento culturale che contraddistingue l'individuo "massificato"delle società contemporanee - della necessità di tutelare il "bene comune", inteso come quella res publica (Natura, Lavoro, Moneta) che può far sì che ciascun individuo abbia un volto proprio interagendo con sé e con gli altri secondo concreti e molteplici criteri di senso e valore tali da manifestare ed esprimere, in forme storicamente e culturalmente differenziate, l'autentica "natura razionale" dell'uomo.

1) Opere principali di Karl Polanyi:
Traffici e mercati negli antichi imperi, Einaudi (con Conrad M. Arensberg e Anne Pearson), 1978.
Economie primitive, arcaiche e moderne, Einaudi, 1980.
La libertà in una società complessa, Bollati Boringhieri, 1987
Il Dahomey e la tratta degli schiavi, Einaudi, 1987.
Cronache della grande trasformazione, Einaudi, 1993.
La sussistenza dell'uomo. Il ruolo dell'economia nelle società antiche, Einaudi, 1988.
La grande trasformazione, Einaudi, 2000.


Fabio Falchi

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